lunedì, luglio 26, 2010

La donna che non vive

Tratto da un articol di www.lecceprima.it (http://www.lecceprima.it/articolo.asp?articolo=21848)

Io, 29 anni, oggi dopo 365 giorni da quella notte, son qui… viva, forse.

Lui, l’insospettabile e per bene, quello buono e amico di tutti, lui che con le sue lacrime di coccodrillo e parole prese in prestito, a debito, crede di poter incantare chiunque e lo ha fatto. Lui, che vive come se quella notte non fosse mai esistita, che crede di poter mettere in tasca una verità che non c’è, lui che mente, lo ha sempre fatto e vive nella consapevolezza di essere “qualcuno”. Un vigliacco che il 26 luglio 2009 ha deciso per me. Ha deciso di distruggere la mia vita. Ed è successo. Sì. Son viva: respiro, lavoro, cammino, parlo, penso… ma non vivo.

Sono il risultato della sua violenza. Una lunga, lenta e atroce violenza che si protraeva da mesi.

Io, non volevo vedere. Pensavo e mi convincevo che quel tempo sarebbe passato e che “quello” sarebbe tornato ad essere un uomo. Ero la protagonista di una favola, tutta mia. Il principe aveva sembianze umane… solo quelle.

Io non sento. Non avverto emozioni, tutto è statico. Le belle notizie, quelle che ti fanno battere il cuore, che ti fanno smettere di respirare per un attimo e che ti fanno sgranare gli occhi dallo stupore… io non so più cosa siano. Ora, potrebbe essere domani o viceversa ieri. Nulla per me cambierebbe. E’ tempo che passa e che deve passare. Invento mille modi per riempire questo contenitore, le mie giornate, mi carico di pensieri positivi, ascolto la musica che mi piace, leggo ciò che mi dà serenità, lavoro, mi faccio abbracciare dal sole, ma poi basta fermarmi un istante e intorno a me cala il buio, il silenzio e sento tutto quello che vorrei dimenticare: la puzza di umido di quelle maledette e troppo strette mura, la paura, il cuore a mille, la forza che non ho, la pelle che brucia, la sua forza, il respiro che va a fatica, la mia voce è soffocata dalle lacrime, il dolore, la voglia di fuggire e di fare qualsiasi cosa possa fermarlo; non mi ascoltava, le botte erano sempre più forti, la mia testa troppe volte è stata contro quel muro, i vestiti strappati, tutto sparso ovunque dopo aver colpito me e la mia dignità… gli sputi in pieno viso, gli insulti, le parole, quelle mai sentite se non dalla sua bocca, miste a bestemmie. Un pugno ancora in pieno petto e ho smesso di respirare… ho creduto di morire. Credevo di morire per volontà di quello che pensavo fosse l’altra metà del mio cielo.

Ricordo le visite mediche, sola in ospedale senza neppure un viso conosciuto, pronta a inventare la scusa più banale per giustificare i miei segni, la solita caduta dalle scale che poco convinceva chi mi ascoltava.

Io ho denunciato. La giustizia è lenta e mi chiedo se servirà davvero la sentenza di un giudice… per me è già stato condannato. Non da me, dalla mia famiglia, dai miei amici, non dalle persone che pur non conoscendomi hanno fatto sentire la loro presenza. E’ stato condannato dal suo peggior nemico: se stesso. Il tempo passerà ma questa storia farà parte di me per sempre, ma son certa che la vita non lasci mai dei conti aperti.

Io porto questa croce sulle spalle, ormai, con disinvoltura perché ho la forza di farlo… aspetto che arrivi il momento della mia risurrezione e so che da questo calvario ho imparato tanto ma ho perso anche molto. Qualcuno la chiama “frizzanteria”. Ed è vero perché non sorrido più, ma ho in tasca una certezza: di aver vinto sul “male” anche se le botte le ho prese io. Ma guardo la realtà. Io posso guardarmi allo specchio senza farmi schifo. Non devo fingere con gli altri, non devo affrontare gli occhi di nessuno, sono una persona libera al contrario di una “bestia”.

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